martedì 5 agosto 2014

Under Construction

Works of more than ten years ago


Dietro l'isola, 2003



Salvatore Santoddì: il pittore dei transiti terrestri. 
by Sabina Corsaro

La città fa da sfondo paesaggistico ai suoi dipinti e gli edifici, perennemente in costruzione, sono i preziosi elementi che determinano quel carattere contrastante di immobilità e movimento, di eterno e di mutevole. 


Viaggiatore

Da dove giungi?
E quale la tua meta?
La luna è calata,
ma il sole ancora non è sorto.
Nel caos dell’oscurità che precede l’alba,
cercando la luce avanzo,
per disperdere le nubi oscure della mia mente,
per trovare un grande albero,
che non si pieghi nella tempesta,
io emergo dalla terra.

(Shin’ichi Yamamoto)


 
Meditazione, oil on canvas (70x50), 2003
Se volessimo trasporre l’essenza di questi versi del poeta orientale nelle cromie di un dipinto e vederla poco per volta prendere forma nelle linee, nelle sfumature e nei contorni all’interno di un quadro, basterebbe pensare ad una delle tele di Salvatore Santoddì, pittore siciliano nato a Caltagirone nel 1978. La sua arte esprime la ricchezza e la diversità degli elementi presenti nella vita quotidiana. La coesistenza del passato e del presente è il primo elemento indicativo e significativo all’interno delle opere di Santoddì che lui stesso definisce “composizioni esasperatamente ambrate” poiché, così come l’ambra, “lasciano intravedere in trasparenza residui di vita remota, immobilizzata, cristallizzata, e così facendo , li tramandano”. La presenza della ‘distanza cronologica’ degli elementi in realtà svela il complesso carattere della visione del Tempo da parte dell’uomo, raffigurato, quest’ultimo, mentre è assorto in un gesto di concentrazione e, più precisamente, di meditazione. La città fa da sfondo paesaggistico al dipinto e gli edifici, perennemente in costruzione, sono i preziosi elementi che determinano quel carattere contrastante di immobilità e movimento, di eterno e di mutevole ed è in questa chiave che può essere spiegata in Meditazione la figura dell’uomo nudo che dal tetto di un edificio lineare osserva con riverenza la cupola in costruzione. Le linee ondulate e circolari delle figure e delle pose umane creano un contrasto con la geometricità delle strutture urbane e le mani, congiunte in atto di preghiera, si elevano nella direzione dell’oggetto urbano in costruzione per sancire quel rapporto sacro tra ieri e oggi (La preghiera).
Rinascimento Mediterraneo, oil on canvas (70x100), 2003
L’immagine della (ri)costruzione erge come vera e propria metafora pittorica poiché le impalcature, i tratti delle gru che si intravedono da un’apertura che funge da finestra, esprimono il senso della sopravvivenza delle cose agli uomini; tuttavia anche le architetture mostrano la loro precarietà nella trasformazione inarrestabile del tempo e smascherano questo rapporto continuo di necessità, poiché senza la presenza dell’uomo anche le cose si consumano e distruggono in modo irreversibile. Inevitabile appare l’evocazione della figura di Nietzsche di Domenico Amoroso quando descrive l’autoritratto di Santoddì “in cui il pittore si rappresenta nella celebre posa di Nietzsche con la testa poggiata sulla mano e l’iscrizione: ET QUID AMABO NISI QUOD AENIGMA EST”. I quadri di Santoddì non si traducono in una descrizione realistica di ciò che provoca le rivelazioni ma in una sorta di ‘allusione onirica’, nel senso che la rivelazione di cui sono portatori è come il volto di una persona in sogno, per cui le può solo somigliare ma non può propriamente essere quella persona. Il carattere metafisico della sua pittura è evidente e il richiamo a De Chirico naturale, così come quello a Sironi per la pittura compatta, piena, plastica.
(from "Astratti furori", January 2006)



Transiti, oil on canvas (80x120) 2003






ASCOLTANDO TRANSITI TERRESTRI

 

ET QUID AMABO NISI QUOD AENIGMA EST
by Domenico Amoroso


Autoritratto
Se è lecito risalire alla Grecia, a Volos da dove partirono gli argonauti, ad Atene dai bianchi templi e poi alla Monaco di Bocklin e della sua Isola dei morti, e quindi a Firenze e poi a Torino dove:"...tutto è apparizione. Si sbocca in una piazza e ci si trova di fronte a un uomo di pietra che ci guarda come solo le statue sanno guardare. Talvolta l'orizzonte è chiuso da un muro dietro il quale si leva il fischio di una locomotiva, il rumore di un treno che si mette in marcia: tutta la nostalgia dell' infinito si rivela a noi dietro la precisione geometrica della piazza" (Paolo Baldacci, De Chirico (1888 - 1919); La metafisica, Leonardo, Milano 1962).
Se ciò è possibile fare per Giogio De Chirico, per la profonda e inesausta suggestione della classicità, per il trauma dell' infanzia precocemente perduta a causa della morte del padre, per la lunga elaborazione del lutto nelle Piazze d' Italia, per il fortissimo impatto con la melanconia tedesca, da cui nacque il famoso autoritratto in cui il pittore si rappresenta nella celebre posa di Nietzsche con la testa appoggiata sulla mano e l'iscrizione: ET QUID AMABO NISI QUOD AENIGMA EST.
Se tutto ciò è utile per tentare di comprendere meglio gli aspetti fondativi della pittura metafisica, allora per Salvatore Santoddì si può risalire la strada serpentina di Sant'Orsola a Caltagirone fino ad una improvvisa salita. Lì è la sua casa a tre piani che si radica con le fondazioni nella frana medievale che inghiottì la città dei cannatari; che emerge sulla strada nella stanza alla cui porta, da sempre, la nonna ricama e cuce; sale per la stanza sacrario interamente rivestita di corruschi trofei paterni e termina nella veranda luminosa, fragile e aerea come un nido, che guarda di fronte, nella sola direzione possibile: alla città murata tutta bruno e ocra contro l' azzurro del cielo percorso spesso da nuvole, e all' antenna di ferro, bianca e rossa, che, vituperata da ambientalisti e paesaggisti, tuttavia fora il cielo e si affaccia su dimensioni normalmente non percepibili da occhio umano.
autoritratto, 2002

L'"Autoritratto" del 2001 mostra infatti già tutti gli gli elementi di base della sua precoce, attuale ricerca. I soggetti: la figura umana fissata nel momento più pregnante del gesto, le architetture longeve eppure precarie nella perenne trasformazione del tempo e degli uomini, gli alberi, o il frutto o il fiore, che evocano una natura enigmatica, feconda e polimorfa.
Accanto ad essi i motivi che dei primi formano la sapiente orchestrazione, apparendo in angoli diversi a caratterizzare il repertorio di immagini di cui Santoddì si serve: il cielo, così pesante e presente ma nello stesso tempo rarefatto e remoto; l' antenna, o gru, aliena e metafisica presenza sugli uomini e degli uomini; le finestre, drammaticamente cieche o aperte a telescopio su prospettive interne, misteriose e imperscrutabili. Così nel secondo "Autoritratto" del 2002 in cui alla gonfia cupola barocca, babelica e vanamente coronata dalle saturniche impalcature degli uomini, corrisponde l' elementare rotondità della mela gialla che nella sua umile semplicità sembra irridere alla prima e, insieme, alla vanità degli uomini. Mentre la sua stessa ignuda e instabile figura, trattenuta solo dall'immobilità dello sguardo, assume il ruolo di un apparizione panica in un meriggio sospeso e deserto.
Anche in questo caso le pennellate e la materia pittorica sono più attente al primo De Chirico ma soprattutto a Sironi, a Carrà, a cui riporta la pittura compatta, piena, sensualmente morbida e plastica. Ma non minore importanza hanno le sensazioni che Santoddì avverte e trasmette, anche in questo caso dechiricamente, come una sottile e persuasiva rivelazione del quadro "senza che noi vediamo niente, senza che pensiamo niente...il quadro non sarà una riproduzione fedele di ciò che ha determinato la sua rivelazione ma gli somiglierà vagamente come il volto di una persona in sogno somiglia a quella persona nella realtà. E in tutto ciò la tecnica non entra nulla, tutta la sensazione sarà data dalla composizione delle linee nel quadro...".
L'apparizione della Torre Preziosa, 2003
Le sue sensazioni, le sue atmosfere si costruiscono sul contrasto tra le piene e curvilinee forme dei corpi e la rigidità delle costruzioni, dove le figure umane pur così monumentali ed esposte nella loro fisica nudità, sembrano vivere come ombre accanto alle cose che sopravvivano agli uomini e che si impongono ad essi in una misteriosa epifania, come ne "L'apparizione della torre preziosa" del 2003: ma salvati dalla luce che da epidermica e terrena come nel bell'"Adolescente" del 2001/2002, il più giovane fratello e alterego, diventa tutta interiore e sovraumana, ancore ne "L'Apparizione della torre preziosa", e, ancor più, in "Fluxus pitagorico" del maggio/luglio 2004. Una luce che si riverbera sui corpi in maniera prepotente attraendo ipersonaggi in un gesto di preghiera e adorazione.
Un portare alla luce, quello di Santoddì - metafora metafisica per eccellenza - una verità incontaminata e pura che lo avvicina all'anelito surrealista ma sempre nella partecipazione empatica e concettuale alla laica considerazione di Giorgio De Chirico: "Sulla terra. Nell'ombra di un uomo che cammina al sole ci sono più enigma che in tutte le religioni passate, presenti e future".

(from the exhibition catalogue "Ascoltando transiti terrestri", august 2004)





Adolescente, 2000/2001


from the exhibition catalogue "Ascoltando transiti terrestri"
by Salvatore Santoddì

La città è il luogo perivilegiato della rappresentazione ma le immense metropoli odierne diventano i simboli di altrettanti inferni, attualizzazioni del testo dantesco, a partire dalla "selva oscura" evocata da immagini di traffico intenso, edifici occupati, fognature intasate, violente manifestazioni di piazza, rumori assordanti...
study for landscape, convex canvas

La "sinfonia urbana" si allontana così dalla grande città ed i molteplici punti di vista si dispiegano tra passato e presente in un intarsio in "profondità di tempo". E' il caso di quelle città in cui il presente è ancorato all'immobilità di un passato importante (e forse paralizzante), dove vedute pittoriche degli antichi edifici si fondono coi rituali odierni. Per Jim Cohen in "Città d'ambra" (1999) il passato non è frutto di nostalgia ma di una rivendicazione di appartenenza dell'uomo alla propria storia. E ciò è cercato soprattutto nei gesti e negli oggetti apparentemente insignificanti, nei piccoli eventi, in un groviglio di fili elettrici, in una statua antica...E' un lavoro sul tempo, che riguarda non solo la stratificazione culturale ed epocale, ma che si fonda sul tempo della visione. I frammenti di musica passata e presente, classica e rock ispirano le mie composizioni esasperatamente ambrate; e l'ambra, com è noto, lascia intravvedere in trasparenza residui di vita remota, immobilizzata, cristallizzata, e così facendo li tramanda. 
La scelta iconografica pone l'accento su un valore di tempo e di spazio assoluti in cui la forza dell'uomo è espressa con un gesto reale, determinato e perentorio. E' uno spazio luminoso, meditativo, perturbante, in realtà l'estraneo, l'inquietante, è sempre stato familiare alla psiche e solo il processo di rimozione l'ha reso altro.




Untitled, oil on canvas (120x100), 2005


Ricognizione a sud-est, oil on canvas (120x90), 2004

 

 

from "ENTROTERRA":

 

"Interessanti di Salvatore Santoddì le antiche architetture in rifacimento, metafore di un bisogno di rinnovamento e di rinascita di un'umanità che sembra, nelle sue tele, sentirne il "sacro fuoco" nelle posture in preghiera e nella luce degli sguardi carichi di profonda religiosità".

Milly Bracciante,2004

 

"L' occhio, il più spirituale degli organi umani, sembra trapassare e annullare nella sua imperscrutabile profondità il rapporto spazio/tempo che fin dall'inizio appare come uno degli enigmi più affascinanti e importanti per Salvatore Santoddì. A partire dagli autoritratti, già quelli del 2001 e del 2002, l'artista indaga la perenne trasformazione e l'immutabilità di una realtà e di un corpo polimorfi ma sostanzialmente della medesima natura. Lo sguardo, il senso della universale creazione e della raffinata, armoniosa composizione pittorica di Santoddì, fa precipitare e immette in un buco nero, passaggio che unisce tempi non più consequenziali, sequenze dell' eterna dimensione esistenziale." 

Domenico Amoroso, 2006

 

"(...)è potente la figurazione di Salvatore Santoddì, anche se trasferita in una realtà altra, straniante e surreale. Le sue figure di forte realismo, i corpi pieni di cui sembra possibile sentire la consistenza della carne, fluttuano tra architetture e vedute aeree, in atmosfere soffuse di misticismo ma anche di un erotismo sottile, dove le donne, le rose e i fiori di loto partecipano di un'unica profumata fioritura".

Alessandra Redaelli, 2008

 from the exhibition catalogue "Entroterra italiano", april 2008 

 

 

from the exhibition catalogue "SACRO/CONTEMPORANEO"  

Preghiera, oil on canvas (140x100), 2003


Un silenzio sacrale, una familiarità metafisica, un interno contemporaneo nella ambità mistica di un aulico esempio di scuola romana.
L'euritmia della composizione, la gestualità e la compostezza quasi ieratica richiede all'osservatore attento una riflessione sulla frenetica dinamicità di una realtà periferica e metropolitana.
L'intimo spazio e l'intima visione di un interno quasi condominiale, suscita un apparente illecito sacrale, ma invece apre alla visione pubblica una privacy rituale, un interno cultuale dove l'essere contemporaneo si denuda del superfluo accessorio sociale.   

Michele Romano, 2003


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